L’ACQUA CHE BRUCIA
San Cristòbal, Chiapas
È una calda mattina del mese di luglio. Il sole risplende alto nel cielo e illumina con i suoi raggi quel che resta del piccolo villaggio. Il mio viaggio alla scoperta di quella terra lontana, abitata dagli ultimi discendenti dei Maya, stava per volgere al termine. Quella mattina mi ero alzato presto. Avevo preparato la valigia ed ero uscito per salutare quel luogo così devastato, eppure così vibrante.
L’aria era sempre più calda e il sudore imperlava la mia fronte. Non ricordo quanto io abbia camminato. Di certo più di un’ora. Il silenzio circostante era palpabile. All’improvviso delle urla squarciarono quell’atmosfera di morte. Un brivido freddo percorse la mia schiena. Temetti il peggio. Temetti che gli squadroni di morte fossero ritornati. Mi voltai lentamente, timoroso di vedere rivoli di sangue scorrere lungo le strade dissestate. Niente fiamme. Niente spari. Solo urla. Urla di donne. Grida di bambini. No, non era la guerra! Quelle donne e quei bambini si preparavano a vivere un insolito giorno di festa. Li vidi varcare la soglia di una chiesa diroccata. Affrettai il passo per raggiungerli. In mano recavano doni e fiori. Fiori colorati che spezzavano la tristezza di quel luogo dimenticato dal resto del mondo. Mi accingevo a salire il primo gradino quando fui rapito da un piccolo rumore che non ero in grado di decifrare. Pensai provenisse dai verdi cespugli intorno. Voltai lo sguardo e la vidi. Piccoli occhi d’ambra. Pelle color bronzo. Capelli corvini raccolti in una semplice coda. Il candore di un abito bianco impreziosito da pizzo cantù. Piccole mani sporche di sapone, già consumate da ore di lavoro. Un panno che galleggiava sull’acqua. Un corpicino esile riverso sulla vasca. Il tempo si era come fermato. Non riuscivo a pensare. Un suo sguardo bastò a rapirmi. Così piccola, così innocente, eppure già grande. Niente giocattoli, niente libri. Niente che potesse appartenere al mondo di un bambino. Solo sapone, panni e acqua. Acqua che toglie lo sporco, che rinfresca e che brucia. Intorno resti di case distrutte e di vite spezzate. Ebbi la forza di chiedermi: Perché ci devono essere al mondo bambini che vivono in maniera diversa? Ma i bambini non hanno tutti gli stessi diritti?

D’istinto afferrai la macchina fotografica. Volevo immortalare per sempre quello sguardo dolce e disperato. Click. Click. Click. Non riuscivo a smettere. La spaventai. Forse non ne aveva mai vista una. Raccolse gli strumenti del mestiere e fuggì, come un fulmine. Allora sedetti sui gradini. Raccolsi il viso tra le mani. Temetti di averla ferita. Temetti di aver aggiunto dolore al suo dolore. Passarono dei minuti. Alzai la testa, aprii gli occhi e la vidi lì davanti a me. Si portò la mano alla bocca. Mi chiedeva qualcosa da mangiare. Avevo solo caramelle con me. Insolite per un’indigena abituata a cibarsi di mais, fagioli e tortellias. Le afferrò avidamente e corse via. Mi alzai di scatto e la seguii. La vidi entrare in una fatiscente abitazione di fango e terra. Mancava tutto: luce, acqua e gas. L’attesi dinnanzi a quella parvenza d’uscio. Ne uscì dopo alcuni minuti. Non era più sola. Vicino a lei c’erano due esili corpicini che reggevano ceste di panni puliti. La bambina impartiva ordini, dava istruzioni e guidava il gruppo. Incominciò la consegna del bucato alle famiglie del villaggio. Mi tenevo a pochi metri di distanza da quelle piccole creature e osservavo. In cambio niente soldi. Solo misere razioni di cibo. Troppo poco per tre bocche da sfamare. Dagli sguardi di compassione e di ammirazione di clienti intuii che quella bambina era già donna e madre dei suoi fratelli.

Il sole era quasi giunto al tramonto quando terminò la consegna. Nel villaggio iniziarono i festeggiamenti. Mi ritrovai travolto da una folla festante. Mi sentivo felice e preso da un’emozione nuova. Tutto era talmente insolito. Tamburi, balli e canti in un’esplosione di gioia e di serenità, capace, anche se solo per una sera di cancellare il rumore assordante degli elicotteri, i proiettili, i carri armati e la povertà. La terra non tremava e anche i grandi non avevano paura. La rividi ballare la zapateado al suono della marimba, mentre i fratellini le battevano il ritmo.
Adele L.