PIETRE
Pietre: fuori e dentro l’anima.
Occhi e capelli neri, carnagione scura che contrasta col bianco prezioso del colletto, il corpicino minuto infagottato in un abito troppo grande: una bimba, oggetto fra gli oggetti, china su un rudimentale lavatoio in cemento, lava poveri stracci.
Accanto a lei un secchio che assomiglia ad un bidone di vernice, un rubinetto e alle spalle una tinozza.
Spiccano, in primo piano, cumuli di macerie; sullo sfondo ancora pietre e marginalmente della vegetazione.
Colpiscono gli occhi.
Occhi neri che scrutano, chiedono risposte: risposte che forse non abbiamo, risposte che forse non vogliamo.
Perché l’infanzia non è per ogni bimbo il tempo del gioco e della spensieratezza?
Perché per qualcuno crescere è tanto più faticoso che per altri? O forse no, la domanda è un’altra; più semplice, scarna e terribile: perché tanto interesse per un’occupazione così quotidiana e normale?
Le pietre che fanno da cornice a questa breve sequenza di quotidianità sono le stesse pietre che schiacciano l’anima di un’infanzia tradita.
La loro aridità ne ha bruciato i sogni, le speranze; ne ha asciugato le lacrime.
O forse no: c’è ancora tempo per piangere.
Annamaria F.