Senza titolo
15 Maggio 2008
A forza di fissarla ed indagarla, l’immagine è ormai impressa nella mia mente, nei suoi pur ancor sconnessi elementi nella cui analisi ho tanto insistito cercando di trovare una chiave di lettura unitaria. Eppure quell’insieme di pietre, macerie indistinte, polvere e secchi, che inizialmente mi avevano avvinta rimandando a sensazioni forti di povertà e desolazione, è quasi scomparso, accantonato, o per meglio dire, superato dalla forza dello sguardo della piccola protagonista, fiera, ordinata e ben pettinata, ma soprattutto al lavoro, nel suo abitino della festa (o forse l’unico che possiede, nonostante il candido e ampio colletto che ne mette ancor più in risalto il volto scuro, infantile eppure così severo).
Non si trova dove mi aspetterei, non gioca come mi aspetterei, la sua bocca è serrata eppure il suo viso comunica prepotentemente. Non riesco nemmeno a capire bene dove sia e quale sia la sua postura. Sta lavando una veste, non con acqua corrente ma con l’acqua insaponata che attinge parsimoniosamente all’enorme secchio posto accanto a lei.
Il contesto sembra invocare l’acqua, indispensabile al lavoro svolto e tuttavia assente; domina invece l’arsura, anche cromaticamente evocata dal giallo secco che prevale su tutto. La posizione rialzata dell’obiettivo poi, sembra spingere la bambina nel fondo di un “cratere”, schiacciata a terra, oltre il muro di pietre che in primo piano ci separano, quasi ad accentuare l’incomunicabilità assoluta imposta al mio infelice tentativo di dialogo.
Una cosa è certa: lei, la piccola, è il centro, il fulcro visivo e vitale della fotografia. I suoi occhi scuri e ben disegnati riescono a cancellare tutto il resto, la fierezza che da loro trapela vince ogni sensazione di inadeguatezza o colpevolezza; i contrasti permangono, ma non mi sento più legittimata, giudice dall’alto del perbenismo, a commentare e interpretare. Non mi interessa più ricostruire la scena, riunire i frammenti del paesaggio lunare in cui è calata. Lei è forte e viva, anche davanti a me che mai l’ho realmente incontrata.
Maria C.