“L’incontro”
Era finita. Era passato un anno dall’ultima volta che Anna gli aveva detto addio. Marco, allora, si era buttato anima e corpo nel suo lavoro. Intere giornate trascorse nel suo elegante ufficio di una importante azienda di telecomunicazioni, diviso tra colazioni di lavoro incontri con top manager e bilanci. Era al limite, non ce la faceva più, non si riconosceva più. Doveva staccare la spina e riallacciare un rapporto con la vita, quella vera.
L’idea di un viaggio in Messico gli era venuta parlando con un suo collega durante uno dei tanti happy hour consumati in uno dei tanti locali alla moda di Milano. Era rimasto colpito dall’entusiasmo con cui il suo compagno di stuzzichini gli raccontava dei paesaggi naturali mozzafiato, della magia delle rovine archeologiche delle civiltà precolombiane, di un paese ricco di contraddizioni e dell’abbraccio con il Pacifico.
Pochi giorni dopo Marco era già in volo, destinazione Tuxtla Gutiérrez, la capitale del Chiapas e da qui a San Cristóbal de las Casas. Sistemato in un hotel nei pressi della piazza principale aveva deciso di lanciarsi alla scoperta della cittadina di cui aveva subito notato le caratteristiche case basse dai colori pastello e le inferriate in ferro battuto finemente lavorate. Stanco e un po’ accaldato, dopo aver scattato una miriade di foto ai principali monumenti cittadini, si era rifugiato in una di queste case, la cui insegna esterna indicava la presenza di un ristorante. Il tempo di assaporare un buon “cocito” accompagnato da un rinfrescante bicchiere di “tascalate” che Marco, da buon turista, aveva ripreso il giro turistico alla volta della chiesa di Santo Domingo. Ma la cosa che più di ogni altro lo aveva colpito, passeggiando nelle strade del cento storico, era stata la gente. San Cristóbal era tutto un brulicare di donne vestite nei loro caratteristici vestiti dai colori sgargianti, intente alla vendita dei loro prodotti artigianali. I bambini si avvicinavano ai turisti chiedendo insistentemente dei pesos mettendosi in posa per una foto. Agli angoli delle strade gli uomini chiedevano l’elemosina tenendo stretta una bottiglia e affogando la loro dignità in un sorso di alcol.
Un incontro, in particolare, lo aveva colpito durante la sua permanenza in quella cittadina così ricca di contraddizioni. Giunto nei pressi di una scalinata si era appoggiato al muretto lasciando che i suoi pensieri svanissero come il fumo di quella sigaretta che aveva appena acceso. La sua attenzione fu ad un tratto catturata dalla presenza di una bambina che oltre il muretto era intenta a trafficare con le sue povere cose. Sembrava che la sua vita fosse tutta lì, raccolta in quel piccolo fazzoletto di terra tra cumuli di macerie, un catino d’acqua e un panno da lavare.
Una donna-bambina, pensò Marco, una creatura a cui la vita aveva chiesto di crescere troppo in fretta. La miseria non lasciava spazio e tempo per i giochi infantili e il senso del dovere prevaleva sui capricci. Eppure l’abitino verde con il collo di pizzo bianco che la bambina indossava sembrava stridere con l’ estrema povertà che si dipanava tutto intorno a lei. Quale sarebbe stato il suo destino? Era felice? Lo sarebbe mai stata? Per una frazione di secondo, ma che a Marco sembrò un tempo infinito, i loro sguardi si incontrarono. Uno sguardo intenso, forte che non avrebbe dimenticato ma che gli avrebbe regalato l’immagine più bella del suo viaggio, quella non scattata in una foto ma impressa per sempre nella memoria.
Giuliana G.