METARIFLESSIONE FINALE
Come tutti i laboratori che propongono attività legate alle nuove tecnologie o a modalità di insegnamento particolarmente innovativa, anche questo ha, inizialmente, suscitato la mia diffidenza. Poi, però, ho provato a calare alcune delle attività svolte nella mia realtà scolastica e mi sono resa conto che il lavoro di gruppo inteso come contesto strutturato e formalizzato, e il cooperative learning potrebbero risultare strategie interessanti.

Insegno in una seconda media e quest’anno, anche su esplicita richiesta dell’insegnante che sostituisco, ho cercato di far lavorare parecchio la mia classe a gruppi, ma l’esperienza non è stata facile e, a volte, nemmeno positiva (a causa delle discussioni anche piuttosto accese tra i componenti di alcuni gruppi). Riflettendoci adesso, alla luce di quanto emerso nelle giornate di laboratorio, mi rendo conto che spesso ho utilizzato la tecnica del lavoro di gruppo senza grande consapevolezza e, soprattutto, senza lavorare con attenzione sulle dinamiche: troppo spesso ho visto i “bravi” (sia nel senso di più studiosi che di più forti caratterialmente) comandare a bacchetta i più insicuri e questi ultimi limitarsi ad eseguire, mentre i più “sfaticati” cercavano di applicarsi il meno possibile. A questo proposito, l’idea più interessante mi è sembrata quella di responsabilizzare i ragazzi mettendo uno di loro ad osservare il modo di lavorare dei diversi gruppi. Mi è piaciuta per due ragioni: la prima perché permette di avere una “forma di controllo” interna che stimola tutti ad impegnarsi di più; la seconda perché in questo maniera chi osserva ha la possibilità di rendersi conto “dall’esterno” delle relazioni che si instaurano e delle modalità di lavoro non sempre efficaci (chi è coinvolto direttamente nel gruppo fatica ad essere obiettivo).

Per quanto riguarda il cooperative learnig, invece, mi è stato utile sperimentarlo di persona perchè mi ha permesso di verificare come cambiano le nostre idee nel confronto con gli altri e quanti stimoli nuovi possono nascere. Mi spiego. Dopo il confronto con Chiara, mi sono accorta di come molte “prime impressioni” che avevo avuto nell’osservare la foto, in realtà, fossero più dentro di me che nella foto stessa… Tutta la rassegnazione, per esempio, che scorgevo negli occhi del bambino non c’era (o c’era in una forma più dolce e smussata di quanto mi era parso). Allo stesso modo, Chiara aveva notato una serie di particolari che a me erano sfuggiti… questo (insieme alle nuove riflessioni nate in lei dopo la discussione) ci ha permesso di produrre un testo finale più “luminoso” dal punto di vista emotivo e più completo dal punto di vista informativo, rispetto a quello che avremmo prodotto da sola. In particolare, credo che questo esercizio potrebbe essere utile in classe per svariate ragioni. Penso possa servire per far entrare in relazione più velocemente i ragazzi (perché invitati ad esprimersi a caldo, senza tempo per riflettere troppo ); per “dare un esempio pratico” dell’utilità e della difficoltà (non è stato il mio caso, ma a lezione abbiamo avuto modo di verificarlo!) di un lavoro di gruppo; ma anche per proporre in modo originale e più vicino a loro qualche argomento che, generalmente, li mette a disagio come la poesia (in questo caso, infatti, lavorare a coppie o piccoli gruppi permetterebbe, credo, l’emergere di una parte un po’ più profonda rispetto quella che i ragazzi mettono in gioco di fronte all’intero gruppo classe).
Un’ultima riflessione, o forse più una domanda, sulla didattica per progetti. Nella mia scuola gli insegnanti di lettere tendono spesso a far partecipare i ragazzi a qualche concorso. Per esempio l’anno scorso hanno partecipato al “Filo di Arianna” (sulla storia locale), mentre quest’anno hanno realizzato un fumetto contro il fumo. In entrambi i casi gli insegnanti hanno dedicato ore di lezione a questo, hanno preparato i ragazzi e li hanno responsabilizzati molto. Mi chiedevo, quindi, se muoversi in quest’ottica possa significare, in qualche modo, qualora il concorso non sia del tutto fuori contesto e “campato in aria”, operare attraverso una didattica di progetto.
Chiudo dicendo che, purtroppo, non tutto è applicabile e realizzabile subito. Sono al primo anno di insegnamento e sono tartassata da mille stimoli (Ssis, colleghi, ecc.), inoltre credo che un insegnante debba arrivare a costruirsi un metodo proprio che gli sia congeniale e gli permetta di lavorare nel modo più sereno possibile e più utile per i ragazzi. Io, per ora, sto cercando di fare qualche esperimento in classe e di selezionare le proposte nelle quali mi sembra di muovermi meglio, cercando di tenere a mente soprattutto il fatto che i ragazzi hanno bisogno di essere motivati.

Rena D.