Caracas, giugno 2006
Consuelo ha otto anni e vive in un piccolo e povero villaggio. È orfana di padre e di madre. La sua pelle ha il colore del bronzo, i suoi occhi sembrano mandorle e il corpicino è quello di una bambola, già segnato da privazioni e dalla fatica di un duro lavoro. Le sue piccole mani sonno obbligate a reggere una vecchia scopa per quarantacinque miseri quetzalés al giorno. Si, una scopo. No, non è come pensate. Nessuna magia. No, non finge di volare. No, non gioca. Consuelo non ha giochi e non ha libri. Consuelo è indifesa, non ha neanche l’arma dell’istruzione per riscattarsi da una non vita.
Quella mattina, durante la quotidiana ricerca di materiale da rivendere come lattine, barattoli e cartoni, tra i rifiuti di cibo, tra i resti di vite vissute aveva raccolto un giornale. Niente riusciva a catturare la sua attenzione quanto i fogli di carta impressi di immagini colorate e parole. Sua madre le aveva insegnato a leggere. Il sole splendeva alto nel cielo sprigionando un calore che contribuiva ad aumentare quel puzzo emanato dal pattume. Nel cielo si liberavano stormi di piccioni alla ricerca di cibo. Consuelo non era sola. Alle sue spalle una figura maschile si stagliava all’orizzonte.
Non un amico, non un parente ,ma qualcuno che vuole farle del male. Qualcuno che vuole sottrarla alla discarica per consegnarla alla strada rubandole l’innocenza. È intenta a leggere, dimentica del lavoro e dell’ambiente che la circondano. Sotto i suoi occhi scorrono parole che narrano di bambine prostitute private della loro dignità. Non riusciva a pensare. Si aiutava con gli occhi nella lettura, quasi volesse divorare le lettere. All’improvviso chiuse gli occhi. Gli riaprì dopo qualche istante. Il suo viso comunicava smarrimento. Qualcosa l’aveva turbata. Si voltò in cerca di quella voce che sentiva ma non vedeva: la voce di suo padre. Capì che doveva scappare nascondersi. Iniziò a correre tra le lacrime. Si sentiva intrappolata tra il labirinto di rifiuti. Inciampò. Cadde. Poi si rialzò con le mani e le ginocchia sanguinanti. Avrebbe voluto fermarsi per il dolore, ma la voce di suo padre la esortava a non arrendersi, a continuare la sua fuga.
L’aguzzino l’avrebbe presto raggiunta.
Le nuvole avevano oscurato il sole, dando al luogo un’atmosfera ancora più cupa. Anche i piccioni erano volati lontano. Tutto intorno a lei era etereo e impalpabile, quasi fosse in un’altra dimensione. Continuando a correre finalmente trovò la luce. Era la sua salvezza. Il suo destino non sarebbe stato scritto sulle pagine di quel giornale.