IL SOGNO

Feci un sogno.
Ricordo un’immagine dai contorni sbiaditi, una figurina farsi sempre più vicina.
Vidi una bambina. Il vento giocava tra i suoi capelli neri come la notte e il sole illuminava gli occhi simili a stelle. Correva felice con il suo vestitino bianco, a piedi scalzi sull’erba fresca tra i fiori profumati. Stringeva al petto un libro di favole e nell’altra aveva un ombrellino per ripararsi dal sole.
Il cielo era turchino e uno stormo di uccellini ricamava l’aria annunciando il ritorno della primavera. Sentii il rumore lontano di uno zampillio, un rigagnolo d’acqua limpida scorreva tra le rocce.
All’improvviso la bambina decise di rallentare la corsa, si fermò all’ombra di una quercia.
Appoggiò la schiena al tronco dell’albero, aprì il libro e si immerse nel suo mondo fatato fatto di storie fantastiche. La vedevo sorridere, forse stava leggendo un racconto che le piaceva particolarmente, o era già la fortunata principessa di un regno lontano.
Mi risvegliai. Vidi allora un’immagine nitida, una figura minuta al centro della scena.
Una bambina dai capelli neri come la pece che il vento scompigliava sul viso, con un vestitino blu sgualcito e impolverato, avanzava incerta a piedi scalzi. Sondava il terreno con un’asta metallica stretta nella mano e cercava. Cercava con gli occhi svelti tra la plastica e i rottami stando attenta a non tagliarsi.
Ogni tanto si fermava e si inginocchiava sperando che la sorte benevola le avesse fatto trovare qualche oggetto ancora in buono stato, ma poi gettava ciò che aveva raccolto e si rialzava aggrappandosi al suo bastone.
Guardai meglio e vidi sullo sfondo il cielo turchino e uno stormo di uccellini ricamare l’orizzonte con il proprio volo corale, ma non vidi l’erba fresca ne riuscii a sentire il profumo dei fiori di primavera….solo cumuli di scarti che si ammassavano fino a raggiungere l’altezza di montagne e i rifiuti che imputridivano al sole tanto da rendere l’aria irrespirabile.
Lontano, un rumore sommesso si ripeteva a ritmi regolari…gocce d’acqua salmastra, che un rubinetto rotto non riusciva a trattenere, si rincorrevano, creando sul terreno una pozzanghera giallastra.
Poi, tra le lamiere, scorsi la bambina avvicinarsi svelta a un cumulo di cartacce, come attirata da qualcosa. La vidi spostare velocemente alcune riviste e strappare un brandello di giornale, poi un sorriso le illuminò il viso.
Sentii il suono della sua voce e i suoi occhi, simili a stelle, incrociarono il mio sguardo: solo allora la riconobbi.
Mi mostrò il giornale ed io vidi quella cosa che aveva catturato la sua attenzione.
Vidi delle colline verdi, con tanti fiori profumati e una ragazza, di bianco vestita, intenta a leggere un libro all’ombra di una quercia.
E lei mi disse: - Quella sarò io!-
Poi ripiegò il giornale e riprese la sua ricerca.

Quando ci si trova davanti ad un foglio bianco, di solito la prima cosa che passa per la testa è –Bene ora da dove inizio e cosa scrivo?- Fortunatamente a me questa situazione non si è mai presentata, ma quest’anno, dalla mia prima esperienza a livello di insegnante, ho capito che “lo scrivere” è un problema reale e “colpisce” molti dei miei studenti.
Le tipologie sono differenti: c’è chi ha buone idee, ma non è in grado di esprimerle in modo chiaro e scorrevole, chi invece è sufficientemente corretto a livello di forma, ma pecca nella povertà dei contenuti, chi arranca per arrivare ad una paginetta e chi si candida ad essere il futuro Omero! Partendo da un concetto per me imprescindibile, cioè dal fatto che saper scrivere bene è un dono, un qualcosa in più che una persona ha nel proprio Dna, e questo vale nell’ambito scrittura, come negli altri campi, sono comunque convinta che la lettura e l’esercizio possano riuscire a “creare” uno “scrittore” di buon livello.
Trattandosi in generale di “scrittori inesperti” (prima media), come si diceva a lezione, invito sempre i miei alunni a farsi almeno un schema scritto delle idee da proporre nel tema per poi evitare di perdersi alcuni contenuti. Dopo aver chiarito i contenuti, li invito spesso a farsi domande sulla forma e sulla chiarezza del loro elaborato, nonostante ciò vedo che in molti casi gli enunciati non sono ben argomentati e mi trovo a dover interpretare il loro pensiero, oppure scelgono di specificare un’idea in realtà poco importante al fine del testo e tralasciarne altre fondamentali.
Da qui la mia tormentata domanda: privilegiare la forma o i contenuti? Ovviamente si dovrebbero avere entrambi, perché un argomento non espresso chiaramente non è comprensibile e un’esposizione corretta senza “sugo” nemmeno, indi non si direbbe nulla.
A lezione ci è stato chiesto di partire da un’immagine e fare una descrizione.
La mia prima bozza, prodotta in classe, è stata molto simile all’elaborato finale, così come è avvenuto per il precedente lavoro e non mi stupisco di ciò perché sono molto istintiva nello scrivere e soprattutto nell’ambito delle descrizioni tendo a parlare più delle sensazioni che ciò che vedo mi suscita, piuttosto che descrivere oggettivamente qualcosa. Sotto questo punto di vista per alcuni passaggi mi sono chiesta se potevo renderli più chiari per il mio lettore, ma rendendoli più espliciti, notavo la perdita del mio stile e in qualche modo la perdita della poeticità del mio scrivere.
Magari, diversamente da quanto può accadere per altre persone, che potrebbero trovare nelle domande circa la forma di un testo uno spunto per staccarsi dalla pura descrizione dell’immagine, nel mio caso si ottiene l’effetto contrario. Chiedermi infatti se alcuni tratti erano di difficile comprensione o poco chiari, mi ha permesso di radicare maggiormente il mio testo all’immagine proposta, aggiungendo aggettivi che mi specificavano la descrizione (il riferimento ai colori e ai profumi in contrapposizione ai rifiuti della discarica ad esempio ha ancorato la mia descrizione un po’ onirica).
Volutamente non ho detto solo ciò che sapevo, cioè ciò che vedevo, ma sono andata oltre, aprendo forse tante parentesi magari poco chiare ad una prima lettura, eppure dalle diverse possibilità interpretative.

Marianna G.