Monnezza

I Versione
Non riesco ancora a capacitarmi di come nel terzo millennio ci possano essere simili situazioni. Nell’epoca del progresso, della tecnologia imperante, del benessere diffuso (così almeno ci dicono), del commercio globale in cui tutto si esporta (anche la democrazia) vi sono luoghi in cui tutto ciò pare non avere senso. E allora possiamo trovare una discarica, come un emblema del mondo e delle sue contraddizioni. Là nei rifiuti, tra cose che qualcuno non vuole più, c’è chi quelle cose cerca per la propria sussistenza, bimbi costretti dalla miseria a contendersi qualcosa con i gabbiani, che le discariche ormai preferiscono al mare aperto.
Mi colpisce la bambina che in un momento di pausa dal suo continuo spalare/rovistare nella “monnezza” si sofferma a leggere, o per lo meno a guardare con attenzione le parole sbiadite di un giornale, mentre alle spalle un turista (un ecoturista?) si allontana nella direzione opposta alla bimba.
Una discarica, in un mondo dotato di vero senso di responsabilità, non dovrebbe nemmeno esistere, non dovrebbero esistere bimbi che la frequentino, che lavorino, che perdano la loro infanzia.
Eppure nel punto più basso dell’aberrazione umana una speranza, la voglia di riscatto di una bimba, di un popolo, di tutta un’umanità sommersa: un giorno quelle mani precocemente callose non brandiranno più una pala, ma denunceranno con parole sferzanti sortite da una penna l’assurdità di tutto un mondo.

II Versione
M’imbatto in una fotografia. Un bello scatto. Poi la guardo con attenzione, rifletto. Non riesco ancora a capacitarmi di come nel terzo millennio ci possano essere simili situazioni. Nell’epoca del progresso, della tecnologia imperante, del benessere diffuso (così almeno ci dicono), del commercio globale in cui quasi tutto si può esportare (anche la democrazia) vi sono luoghi in cui tutto ciò pare non avere senso. E allora può accadere di trovare una discarica, come un emblema del mondo e delle sue contraddizioni, dove, in mezzo ai rifiuti, tra cose che qualcuno non vuole più, c’è invece chi quelle cose cerca per la propria sussistenza, bimbi costretti dalla miseria a contendersi qualcosa con i gabbiani, che le discariche ormai preferiscono al mare aperto.
Mi colpisce la bambina che, in un momento di pausa dal suo continuo spalare/rovistare nella “monnezza”, si sofferma a leggere, o per lo meno a guardare con attenzione, le parole sbiadite di un giornale, mentre alle sue spalle un turista (potremmo chiamarlo un ecoturista?) si allontana nella direzione opposta alla bimba. Una discarica, in un mondo dotato di vero senso di responsabilità, non dovrebbe nemmeno esistere e non dovrebbero esistere bimbi che la frequentino, che lavorino, che perdano la loro infanzia.
Eppure, nel punto più basso dell’aberrazione umana, una speranza: la voglia di riscatto di una bimba, di un popolo, di tutta un’umanità sommersa. Un giorno quelle mani precocemente callose non brandiranno più una pala, ma sferzeranno con la punta tagliente di una penna tutta l’assurdità di un mondo di ingiustizia e contraddizioni.

COMMENTO
Le propongo i due testi da me scritti durante il laboratorio del 21 maggio. Nonostante la rielaborazione, giacché non si può parlare di riscrittura, effettuata mediante la modalità esemplificata durante il laboratorio (e come in parte preannunciato dal docente) le due versioni differiscono di poco, credo essenzialmente per i motivi che vado ad elencare:
  • il fatto che il testo sia stato composto da un “esperto” della scrittura, quindi le idee espresse, anche se in maniera estemporanea, erano già ben chiare nella mente dell’autore
  • la natura stessa del testo: si tratta di una serie di riflessioni che intendono suggerire piuttosto che spiegare chiaramente, suscitando un approfondimento personale piuttosto che proporre soluzioni; in esso si vuole proporre un punto di vista e una modalità di interpretare l’immagine, senza fermarsi all’aspetto contingente, concreto e “sociologico”: si vuole (si tenta per lo meno) infatti rileggere la realtà attraverso un testo non meramente descrittivo o argomentativo, ma che ha in sé qualche velleità letteraria. Pertanto l’esplicitazione del “messaggio” di fatto snaturerebbe il testo stesso
  • l’orgoglio (la hybris?) dell’autore che vuole immaginare che il suo prodotto sia già prefetto così com’è
  • la pigrizia o la stanchezza (ma non è questo il caso) che al termine di un’operazione impegnativa come il produrre un testo possono ingenerare nel suo autore la convinzione che il testo vada bene così com’è e che eventuali aggiunte o modifiche non portino a sostanziali miglioramenti


  • Credo tuttavia che un simile lavoro possa rivelarsi utile soprattutto se applicato a un testo descrittivo o argomentativo e, nella fattispecie scolastica, a un tema, come in parte ho avuto modo di verificare lavorando con gli alunni.

    Stefano R.