Uno sguardo, un abisso
L’osservatore si perde nell’oscurità e nella profondità degli occhi di una bambina: un semplice sguardo, capace però di catturare l’attenzione di molti altri sguardi, molte altre vite, molti altri pensieri. Gli occhi di questa creatura non possono restare nell’indifferenza, passare inosservati; essi si impongono, chiedono, pretendono di essere guardati. Non solo, una volta entrato nella loro direzione l’osservatore non riesce più a uscirne; difficile è infatti abbandonarli per passare a contemplare il resto della scena. Un paesaggio arido, desolato, duro come la pietra; l’acqua si fa rarità in questo contesto, divenendo risorsa di vita bramata e desiderata sopra ogni cosa.
E lei? E i suoi occhi? Ebbene sì, dopo aver per qualche istante esplorato la scena, il mio sguardo torna verso quel punto focale, arricchendosi però di uno stupore nuovo rispetto alla prima osservazione. Occhi e paesaggio sono solo apparentemente in analogia; se a prima vista la bambina sembrerebbe integrata in quel contesto di pietra, uno sguardo accurato svela la sua differenza. Coraggio, determinazione, grinta e fierezza emergono repentinamente dall’animo di una ragazzina costretta ad una vita diversa da quello che vorrebbe. La pietra è il suo presente e il suo futuro, ma il suo volto sembra affermare una diversa volontà. Fra rocce e sassi, nell’assoluta aridità, si propone, o meglio si impone, un messaggio di vita: gli occhi profondi come un abisso vincono sull’immobilità e la freddezza della pietra, l’umanità avanza sulla disumanità.
Sara