Lo so.
Dovrei ricorrere, più frequentemente, all’ottimismo della volontà ma, di questi tempi, mi riesce proprio difficile.
E così, quando agli incroci delle strade, mi si presenta ogni sorta di funamboli, giocolieri, pagliacci e mimi, invece di rallegrarmi, mi rattristo e in me finisce per prevalere il pessimismo della ragione.

E barricato con i finestrini chiusi, in quella che De Andrè definiva “puttana di regime”, aspetto irrequieto e con impazienza il verde, per ingranare la marcia, spingere sull’acceleratore e fuggirmene lontano.
              Ma invano perché, camminando poi per le vie della città, il problema si ripropone grazie a nuovi, casuali, ma inevitabili incontri. Un pullulare di artisti di strada, giovani e molti ormai non più giovani, spesso assai bravi, si esibiscono nei luoghi più improbabili che la città offre loro: lungo i marciapiedi del centro storico, nei parchi, sotto i colonnati, ma anche in quei “non luoghi”, anonimi e sconci, come sono i corridoi sotterranei che conducono alle metrò.
Li ascolto, li osservo, eppure quella tristezza proprio non riesce ad abbandonarmi.
                     Che sarà?